Un team di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e della Harvard University ha messo a punto una mascherina dotata di biosensori i quali sono in grado di riconoscere e diagnosticare, la presenza di vari virus, tra cui Sars-CoV-2 a Ebola, in chi la indossa. Il tutto nell’arco di un’ora e mezza.
A parlarne è un articolo pubblicato da Nature Biotechnology, una rivista di settore, nel quale si aggiunge che a produrre la stessa ha contribuito un’azienda di Milano specializzata nella produzione di tessuti in fibra ottica.
La mascherina va ad integrare dei minuscoli sensori monouso, basati su ingranaggi cellulari liofilizzati, per ottenere i quali sono stati necessari oltre sette anni di studi. Il percorso sfociato nella sua produzione è iniziato nel 2014, quando l’imperativo era costituito dall’individuazione di Ebola e Zika al fine di dignosticarli.
La mascherina può essere attivata direttamente dall’indossatore. Una volta entrata in funzione, i risultati della rilevazione compaiono all’interno del dispositivo di protezione individuale, proprio al fine di garantire la privacy dell’interessato.
Il nuovo studio, che è stato coordinato da James Collins, Peter Nguyen e Luis Soenksen, ha peraltro reso evidente come i sensori in questione possano essere oggetto di integrazione anche in altri indumenti, oltre alle mascherine. Ad esempio nei camici di laboratorio.
Prima di riuscire ad individuare il tessuto giusto, è stato necessario procedere a test che hanno interessato un gran numero di tessuti. A partire da cotone, poliestere, seta e lana. Alla fine quello ideale si è rivelato un mix tra poliestere e altre fibre sintetiche. Per fare in modo che i sensori possano essere indossati, le loro componenti liofilizzate sono state incorporate all’interno del tessuto.
L’importanza della scoperta è da ricondurre alla possibilità di impiego dei sensori da parte di chi opera in settori come quello sanitario, in prima fila nell’opera di contrasto ai virus.

Di Dario