Uno studio pubblicato su Nature Medicine ha riportato sotto la lente dell’opinione pubblica il rischio di coagulazione associato all’utilizzo del vaccino Vaxzevria, ovvero Astrazeneca.
Se sino a questo momento i dati disponibili non erano ritenuti sufficienti per avviare una vera e propria discussione al proposito, ora gli stessi iniziano ad assumere una certa consistenza. In particolare grazie ad uno studio internazionale, cui hanno preso parte varie università e autorità statali, tra cui la Public Health Scotland, all’interno del quale sono stati analizzati quelli relativi ad oltre 2,5 milioni di scozzesi vaccinati con la prima dose del prodotto di AstraZeneca. Il quale ha rilevato un “leggerissimo aumento del rischio di coaguli di sangue nelle arterie”. In pratica, si tratterebbe di trombi ed eventi emorragici, i quali possono insorgere sino a 27 giorni di distanza dalla vaccinazione.
I dati in questione, però, non sono ancora stati giudicati sufficienti al fine di stabilire una vera e propria relazione fra la somministrazione del vaccino e le trombosi del seno venoso cerebrale.
Mentre per quanto riguarda il vaccino a mRna di Pfizer-BioNTech, anch’esso oggetto dello studio, non sussistono prove in grado di dimostrare un aumento di eventi emorragici e trombotici, di trombosi cerebrale e piastrinopenia.
I dati in questione dovranno comunque essere successivamente integrati da quelli che vengono continuamente rilevati. Il tutto mentre nel nostro Paese il Cts sembra orientarsi per uno stop per quanto riguarda la somministrazione del vaccino di Astrazeneca a coloro che hanno meno di 50 anni. Il quale arriva dopo che, a partire dal 18 maggio, sono stati vaccinati oltre 480mila giovani.

Di Dario